Voci dal coro: Laura


La mia storia nei LineArmonica è un po’ un viaggio e un andirivieni.

“Forestiera” fino a pochi anni fa, ne sentivo già raccontare meraviglie da un entusiasta amico membro del gruppo fin dalle origini;
io intanto ero là, nella mia Milano, con una parallela passione per l’esperienza corale che vivevo, molto più in piccolo, nella mia chiesa d’origine.

Sono sempre stata una persona facile all’idealismo, all’innamoramento puro.
Alla sensibilità per i vissuti di forte impatto emotivo, quelli da farfalle nello stomaco e unicorni volanti, molto di pelle e poco di ragione e quindi difficili da condividere…
… se però devo provare a descrivere ad altri, ecco, definirei la mia storia con la musica corale senza dubbio una storia d’amore.

Quell’incanto un po’ magico mi ha conquistata da bambina timidissima quando, terrorizzata dalle recite scolastiche, ho scoperto questa modalità alternativa, che mi permetteva di partecipare a qualcosa di bello facendomi allo stesso tempo scudo.

Quell’incanto mi ha dato il coraggio, poco più grande, di scegliere di unirmi all’allegrissimo e sgangherato coretto parrocchiale di periferia, facendomelo peraltro riconoscere come canale per me preferenziale di preghiera, un filo diretto con l’Oltre.

Ho iniziato e semplicemente non ho più potuto fare a meno di tutto quell’insieme: il profumo dell’incenso, il legno delle panche, il calore della vicinanza fisica coi compagni a farmi sentire parte di un corpo solo, tanto più forte di me ma anche forte proprio “DI” me, la mia voce che, se moltiplicata in tante altre, riuscivo ad avvertire come finalmente degna di farsi sentire, di comunicare qualcosa….

Quell’incanto mi ha tenuto al mio posto in quel coro, con gli alti e i bassi tipici di ogni gruppetto variegato, per quasi quindici anni.
E mi ha dato una spinta in più ad affidarmi e seguirne un altro grande, di amore, nato proprio in quegli anni… a 40km di distanza.

La musica è stata un pilastro del nostro cammino condiviso, fin dall’inizio.
Prima nelle preghiere scambiate, nei canti inviati, “Ma voi la fate questa? Oggi abbiamo imparato questo, secondo me ti piace!”.
Poi nelle discussioni per scegliere i canti per il giorno del nostro matrimonio, chiedendo a entrambi i nostri cori di accompagnarci col canto.
E ancora, per finire, nel mio passaggio tremante tra le fila di QUESTO coro: un passo che mi sembrava troppo più lungo della gamba, a partire dal primo sguardo alla quantità di partiture già accumulate nel raccoglitore del mio neomarito, incomprensibili a me che la musica non l’ho mai studiata, non so nemmeno leggerla, e ho passato le prime settimane con la tentazione di trascrivermi i soli testi perché trovavo le note una distrazione confusiva, un pasticcio di puntini neri incomprensibili.

Quell’incanto resta un pilastro nell’intrecciarsi di nuove amicizie per me, ad oggi, imprescindibili.

E nutrimento nelle vene delle nuove vite che abbiamo messo al mondo: i nostri due figli che, ancora troppo piccoli, aspettano di andare a riempire le fila dei Piccoli Allegri Cantori dedicandosi intanto a fare da mascotte, ad applaudire ai concerti, a osannare il “Maestho Sam”, a dirigere mamma e papà quando guardano il nostro dvd, a chiamare “zii” alcuni compagni cantori e a divertirsi da matti quando la pazza sezione dei tenori al completo si riunisce a casa nostra, “Arrivano i tenorelli di papà, evviva!!!”.

Gabriele, che per la prima volta ho sentito muoversi dentro di me durante la meravigliosa esperienza del concorso Zelioli, e che fino al primo anno di vita ci ha accompagnato ogni domenica sera alle prove, incantandosi ed esprimendo energicamente da subito le proprie preferenze (perfino il Maestro ricordava che ‘Look At The World’ sarebbe stata ogni volta la magica riposta per fermare ogni frigno).
Francesco, che per un po’ ha seguito anche lui da neonato il papà alle prove, e che tuttora ha la ‘Benedictio Fratri Leoni Data’ come ninnananna speciale, “sua”. Cantata anche al suo Battesimo, mentre se ne stava beato tra le braccia di una dei nostri soprani, che gli ha fatto da madrina.

Io non ne capisco niente, di musica.
So solo quello che sto vivendo.
E più lo vivo, e più mi pento di non capirne niente, di musica.
E più sono ansiosa di imparare, e più mi bevo ammirata la direzione di un Maestro straordinario, e più vorrei essere in grado di essere capace di fare bene quello che provo a fare (e più vorrei essere costante, anche: purtroppo i mini-futuri-cantori mi obbligano, al momento, ad una presenza ancora a singhiozzo!).

Sono tornata quest’anno dopo un anno a casa ad occuparmi solo dei bimbi, e il coro mi è mancato come l’aria, era una sofferenza ogni volta vedere Andrea andare alle prove da solo e pensare a quanto mi stavo perdendo.

Sono grata a tutti, per questa esperienza.
A tutti davvero, al di là del maggiore o minor feeling o confidenza, anche a quelli di cui ancora confondo il nome (perché sono stordita e mi ricordo a malapena che giorno è, e qui mi basta allontanarmi un po’ e poi c’è tanto da recuperare, tra nuovi brani e nuove facce!): siamo tutti ingranaggi che funzionano meglio insieme.
Il coro di per sé è un modo per eccellenza di rendersene conto.
E io continuo a considerarmi una delle rotelline più insignificanti, di quelle che si inceppano facilmente e non compromettono l’intero funzionamento… eppure qui dentro mi sento in mano a qualcuno che crede che sia un pezzo quantomeno riparabile, invece che da buttar via.
E sono felicissima di stare qui a impegnarmi a trovare il mio incastro.
E girare, girare, continuare a girare.
Al ritmo giusto.